Author Topic: EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)  (Read 17707 times)

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #15 on: 18 May , 2014, 13:37:55 PM »
Ciao a tutti. Chiedo scusa a g.iaria se non ho subito risposto, ma ho controllato pochi minuti fa. Cercherò di rispondere per ordine, seguendo il vostro consiglio. Comincio con ciò che è stato postato gentilmente da g.iaria. [Faccio una piccola premessa: provo a "quotare"...spero di non creare qualche confusione].
@Sigmund:
Dunque vediamo di inquadrare il problema: che tipo di azioni orizzontali stiamo analizzando?
  • Azioni sismiche
  • Azioni non sismiche: vento, temperatura, imperfezioni geometriche, veicoli, treni, etc.
Stavo pensando indicativamente ad azioni orizzontali di tipo sismico. Non ho nulla in contrario anche ad osservazioni per azioni differenti.

Nel caso delle pile da ponte, vista l'importanza dell'opera, l'approccio più razionale è accoppiare un'analisi completa non lineare, con uno dei metodi semplificati eseguibili mediante calcoli manuali.
Sono ovviamente d'accordo. Mi permetto solo di proporre, sempre se siete d'accordo, di proseguire la trattazione in maniera meno "serrata" (anche se difficile fare altrimenti, considerato l'argomento). Non per altro, altrimenti diventa proprio un impegno!

Tra questi io preferisco il metodo della colonna modello, leggermente più complesso ma sicuramente il più rigoroso dei 3 disponibili, perchè tiene in conto il diagramma momento-curvatura effettivo, sebbene anche questo metodo, come quello della curvatura nominale, prevede una distribuzione convenzionale della curvatura (pressochè sinusoidale) e soprattutto prevede che la colonna modello abbia una sezione trasversale costante.
Anche io sono d'accordo. Approfitto per riportare una piccola osservazione che un nostro Professore di Tecnica di Costruzioni ci fece: "visto che la resistenza di progetto del calcestruzzo è divisa per 1,6 (anni fa!) è inutile stare tanto a spaccare il capello in 4!"
Quanto infine hai postato, per me è OK!

Provo a fare qualche osservazione su quanto posto gentilmente da Betoniera.
Innazi tutto è opportuno spiegare  il metodo, sia per chiarirci le idee, sia per fare in modo che tutti quelli che ci leggano possano meglio capire di cosa stiamo parlando (poi faremo anche il calcolo specifico, peraltro già anticipato da G.iaria).
Concordo! Considerato se non altro lo "spazio" che sta impegnando questo Topic!

Tanto per cominciare non credo il pilastro sia perfettamente verticale, quindi, tu Progettista, mi consideri una imperfezione geometrica e1 di almeno 2 cm.  Siccome in alto ci sono 100000 kg, il momento flettente aumenta di Me1=2000 kgm
Effettivamente, mi sembra un'osservazione puntuale. Ragionando sul metodo me ne ero dimenticato. Facendo pedessiquamente riferimento ad un esempio numerico riportato nel testo dell'AICAP (Rif.2  Guida all’uso dell’Eurocodice 2 (vol 2) Aicap (2006)), non ci avevo pensato accontendomi di quei due numeri per esporre almeno qualitativamente il problema.

Quello è il punto di instabilità, raggiunto il quale il pilastro non si raddrizza più elasticamente, ma continua ad incurvarsi fino al collasso.
Quindi, il momento resistente che devo considerare non è il momento ultimo della sezione, ma quel momento oltre il quale la sezione non si raddrizza più perché gli effetti del secondo ordine (deformazione) sovrastano la resistenza del pilastro.
Spiegato chiarissimo. Concordo. OK.

Ora rispondo alle perplessità di Sigmund:
1)   Il metodo di calcolo della Colonna Modello è sufficientemente affidabile?
 Secondo me SI perché perché i presupposti di base (nodo libero in sommità) sono prudenziali, quindi sono a favore di sicurezza.
Anche io ritengo che i presupposti di base sono prudenziali e a favore di sicurezza.

2)   E se la sezione è variabile lungo l’altezza per geometria e per sollecitazione?.
Nessun problema: Abbiamo imparato che occorre trasferire alla base oltre al momento sollecitante Md anche i momenti parassitari Me1 ed Me2. Non dovrebbe esserci alcun problema nel considerare questi momenti aggiuntivi sui vari settori della colonna e sommarli progressivamente fino alla base. In questo modo, oltretutto, avremo anche le sollecitazioni pareziali di tutti i settori.
Mi trovi d'accordo in linea di principio. Sono sicuro che non ci sono problemi (il tuo calcolo lo dimostra: perché è molto più cautelativo e semplice). Come ho evidenziato prima, non si può spaccare il capello in quattro. Sono troppe variabili, troppe incertezze nei modelli, etc.
Mi permetto solo di osservare - non sono sicuro al 100% per cui chiedo un po' di margine - che il "metodo della colonna modello" ho la sola pecca di pretendere come ipotesi la costanza della sezione lungo l'altezza e della precentuale meccanica di armatura e che la massima sollecitazione si registri alla base (con NEd = cost). Questo - sempre se non ricordo male - è solo per "giustificare" l'equazione formale della linea d'asse deformata utilizzata a riferimento in tutti i calcoli che caratterizzano questo modello.

Provo ora a porre alla vostra attenzione solo un paio di considerazioni. Quelle che mi hanno indotto (no so se correttamente o meno) a pensare all'espulsione del copriferro come ad una "concausa" nell'innesco di un crollo strutturale per un elemento soggetto ad instabilità. Forse il considerare il caso troppo generale, ha troppo compliccato la trattazione, almeno in questa sede. Cercherò di fare proprio un sunto senza appesantire i discorsi. Pensavo a due differenti tipologie di collasso:
1) un collasso per tensioni normali, con raggiungimento della capacità portante ultima della sezione più sollecitata
2) un collasso (tipico per instabilità) con raggiungimento della capacità portante ultima dell'elemento prima della crisi per tensioni normali della tensione più sollecitata.

Ora, ragionando a buon senso, mi verrebbe in mente questa osservazione:
per il caso 1) il collasso devo registrarlo quando uno dei materiali acciaio/cemento (o entrambi) plasticizza (lasciamo stare tutte le teorie che modellano ad esempio il cls nel punto dello scoppio o ad incipiente scoppio, etc.)
per il caso 2) il collasso (il momento icipiente) non escluderei che avvenga con i materiali (soprattutto l'acciaio) in campo elastico.

Sempre ragionando a buon senso - ripeto, almeno in questa sede, per non intasare il Foum - per il caso 1 ritengo sia assolutamente determinante (ad esempio) il "metodo della colonna modello".
Per il caso 2, stante l'eventualità che possano ugualmente utilizzarsi tutte le teorie al momento disponibili in letteratura, sarei tentato a pensare che il collasso sia anche (personalmente, soprattutto) legato al variare della snellezza delle sezioni trasversali. Avevo parlato di "Metodo del Momento Complementare" solo perché, nell'esempio del testo dell'AICAP, si era scelto il calcolo con il "Metodo della Curvatura Nominale". Quindi, di un preciso valore della curvatura. Ma sempre di "colonna modello" si tratta, per non tirare dentro troppa teoria.

Tornando al valore della snellezza, sappiamo che, in ogni sezione, essa dipende dal quantitativo di armatura longitudinale, dal valore della forza assiale NEd, dai valori di MEd, dalla sezione del conglomerato Ac, ecc (variando i vari parametri in funzione dell'espressione della teoria utilizzata). Inutile evidenziare che nelle varie espressioni della snellezza non compaiono le resistenze dei materiali come variabili. Ecco, credo, che il nocciolo del ragionamento forse voleva tenere conto dell'influenza della snellezza di una generica sezione nel momento dello scoppio del conglomerato. Sicuramente, può anche darsi che alla fine sia solo una stupidaggine. L'importante è capire.

Sempre tentando di ragionare a buon senso, direi che un collasso per stato limite ultimo lo vedo come un collasso di tipo "stabile": crisi dei materiali (anziché pura instabilità dell'equilibrio, come per una colonna in acciaio). Allora, mi chiedevo, se salta il copriferro quali possono essere le implicazioni in termini di collasso, per pura instabilità (cioè acciai in campo elastico ancora, durante l'incipiente sbandamento)?. Il fatto legato al copriferrro, mi è venuto in mente per il fatto che le modalità esecutiva di pile di grande altezza spesso richiedono l'impiego di casseri rampanti e quindi con tante riprese di getto e quindi con sezioni di ripresa di getto dei ferri, etc. Si parte quindi con diverse sezioni con indebolimenti locali o con una resistenza a trazione (di partenza) un po' "declassata" e segregazione di inerti. Da qui anche una piccola perplessità sull'effettivo (???) effetto di irrigidimento prodotto dall'aderenza acciaio-calcestruzzo ("tension-stiffening"), eventuali fenomeni di fatica per gradienti termici notte-giorno, etc.

Concludo questa osservazione riportando testualmente parte di una pubblicazione sull'instabilità delle pile alte di M.A. Pisani (Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Politecnico di Milano), facente parte degli Atti dei Corsi di Aggiornamento del 29 giugno-3 luglio 1998 e 28 giugno-2luglio 1999. Si tratta dell'analisi di una pila alta 90 m a sezione variabile:

"Sebbene la pila sia snella, la crisi avviene lato calcestruzzo compresso, nella sezione z = 65 m, con l'acciaio ancora ampiamente in campo elastico. Questo fatto ribadisce l'impossibilità di adottare, nella verifica di resistenza e stabilità delle pile da ponte alte, tutti quei metodi approssimati che fanno riferimento alla sola sezione di base della colonna per valutarne la capacità resistente."

Continuo, riportando le ultime righe di chiusura del documento tecnico, conscio pienamente del fatto che siano comunque insufficienti per capire correttamente il problema:
"Metodi semplificati che considerano la sola flessione retta, quale è quello proposto al punto 4.3.5.6.4 dell'Eurocodice 2 Parte 1, appaiono, per questa tipologia strutturale, di efficacia assai dubbia."

[Osservazione: è un documento un po' datato pertanto credo si riferisse ad una vecchia versione dell'EC2].

Caro Sigmund, nel prossimo libro che scriverai ricordati di metterci nei ringraziamenti: "... Si ringrazia G.Iaria e Betoniera per i piccoli contributi che hanno dato alla spiegazione dell'instabilità delle colonne in cls ..."

Io vi ringrazio a prescindere perché finora è stata non una discussione ma una conversazione di ingegneria, tra l'altro molto piacevole. E mi trovate sempre disponibile nel proseguire...

@Betoniera.
Ti rigrazio per la fiducia...non voglio spendere troppe righe su questa questione delle pubblicazioni perché in altra sede ho un po' scocciato. Non credo che mi cimenterò più con Editori. Sono tante le persone preparate che meritano. Mi accontento di pubblicarmele da solo, se proprio deve essere...

 :) Fla-flo :)





« Last Edit: 18 May , 2014, 15:46:26 PM by Fla-flo »
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Offline Betoniera

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #16 on: 18 May , 2014, 23:15:54 PM »
RAGIONAMENTI SULLA POSSIBILITA’ DI ESPULSIONE DEL COPRIFERRO COMPRESSO

Il dubbio sollevato da Sigmund riguarda la verifica allo SLU di un pilastro la cui posizione dell’asse neutro si trovi molto spostata verso l’alto.
In quel caso succede che il centro delle pressioni del calcestruzzo si trova addirittura sopra le armature compresse e comunque nella zona di calcestruzzo non confinata da staffe.

Ci si chiede: in quella situazione non si può verificare il distacco del copri ferro?
I calcoli fatti sono attendibili oppure bisogna, in qualche modo, tenerne conto, magari riducendo la capacità portante del cls?

Naturalmente per dare una risposta certa bisognerebbe  fare delle prove di laboratorio per confutare il fenomeno.
Ma nulla ci impedisce di ragionare e, magari fomulare qualche teoria di merito.

La prima domanda è: ma riteniamo che il problema riguarda solo i pilastri o può interessare anche le travi inflesse?
Io ritengo che il fenomeno riguarda soprattutto le travi inflesse, perché è il momento flettente che fa spostare l’asse neutro verso l’alto e non la compressione pura. Ne deriva che l’eventuale fenomeno è generale e non riguarda solo le pile dei ponti.

Altra domanda: Ma succede veramente che il copriferro si stacca dalle travi prima del collasso?.
Ho avuto modo di assistere a qualche prova di laboratorio distruttiva. Questo fenomeno non sembra verificarsi. Quando la trave raggiunge il collasso succede che il calcestruzzo compresso esplode dopo ampia fessurazione e dopo forti deformazioni della trave stessa (ad eccezione delle sezioni molto armate con collasso fragile).
E’ ovvio che il problema è connesso alla problematica del confinamento.
Il calcestruzzo del copriferro NON è confinato. Allora lo posso computare o meno nella resistenza?.

Per rispondere a questa domanda ho pensato di analizzare le fratture dei cubetti sottoposte a prove.
Sicuramente il calcestruzzo che utilizziamo per i provini NON è confinato.
O, meglio, c’è una piccola leggere differenza di valori se mettiamo il cubetto sotto i dischi della pressa (leggero confinamento per l’attrito) oppure se eliminiamo del tutto questo aiuto

 

Si nota che:
-   La frattura con il leggero confinamento è conica (in alto)
-    La resistenza del cls aumenta leggermente col confinamento per attrito dei piatti
-   La frattura senza confinamento (in basso) è verticale.

E qui, secondo me, sta il punto essenziale per capire il fenomeno: Quando schiaccio il provino (senza attrito), le fessure sono verticali.
Questo significa che la compressione verticale del provino provoca delle trazioni orizzontali. Il provino non si rompe per “raggiunta Compressione”, ma si rompe per “raggiunta Trazione”.
Per inciso, un cubetto di calcestruzzo soggetto a  pressione idrostatica diventa di resistenza infinita (lo sapevate?).
Non è possibile rompere un cubetto con la pressione idrostatica.
Allora si scopre che il valore Rck di resistenza del calcestruzzo è strettamente legato alla capacità di alla trazione del materiale cioè alla capacità di stare assieme del materiale.
Siccome poi, noi abbiamo calcolato questa Rck in condizioni non confinate, ecco che tale resistenza si può assumere anche per il copri ferro non confinato. Per il cls confinato tale resistenza non può che aumentare (noi non ne teniamo conto).

E’ ovvio che il ragionamento è qualitativo e solo le prove di laboratorio possono approfondire e dettagliare l’argomento.
Ma il problema non è per niente risolto perché, col problema della duttilità, succede che le staffe vengono molto infittite in corrispondenza dei nodi. Allora succede che il copri ferro, in quelle zone si torva staccato dalla matrice interna per tutta  la superficie delle staffe.
Ne deriva che il problema uscito dalla porta, rientra dalla finestra.
Qunidi la discussione è tutt’altro che esaurita.

Ciao, ne riparliamo



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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #17 on: 19 May , 2014, 00:50:59 AM »
Grazie,

leggo solo adesso che ho controllato la posta prima di chiudere il PC. Argomento per me interessante. Non so se convenga aprire un altro Topic, allora. In modo che sia più facile fare ordine poi. Io nel precedente post ho avuto difficoltà a quotare perché tutto il resto si trovava nella prima pagina...

Domani sono fuori tutto il giorno (...di capoccia, sempre!). Mi trovate comunque dei "vostri". Ormai il vitello grasso...è andato!

Per inciso, un cubetto di calcestruzzo soggetto a  pressione idrostatica diventa di resistenza infinita (lo sapevate?).
Non è possibile rompere un cubetto con la pressione idrostatica.

Tentato di ricordare anche qualcosa di Meccanica dei Fluidi (tetraedro di Cauchy, tensore degli sforzi) ma...lascio stare.

Ne riparliamo sicuramente.
Ciao.
« Last Edit: 19 May , 2014, 00:54:47 AM by Fla-flo »
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Offline g.iaria

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #18 on: 19 May , 2014, 15:56:46 PM »
Il dubbio sollevato da Sigmund riguarda la verifica allo SLU di un pilastro la cui posizione dell’asse neutro si trovi molto spostata verso l’alto.
In quel caso succede che il centro delle pressioni del calcestruzzo si trova addirittura sopra le armature compresse e comunque nella zona di calcestruzzo non confinata da staffe.

Ci si chiede: in quella situazione non si può verificare il distacco del copri ferro?
I calcoli fatti sono attendibili oppure bisogna, in qualche modo, tenerne conto, magari riducendo la capacità portante del cls?
Di questo aspetto avevo già parlato prima in questo intervento, del quale riporto uno stralcio:

Sul fatto che la porzione compressa della sezione interessi una porzione più o meno grande del calcestruzzo di ricoprimento esterno rispondo in merito al secondo punto:Prima che il calcestruzzo giunga alla sua deformazione ultima (epsiloncu) tutta la porzione di calcestruzzo compresso ha "pari dignità" nei confronti dell'equilibrio sezionale. Infatti è solo dopo che il calcestruzzo supera questo valore deformativo che iniziano a formarsi delle macro fessure longitudinali che portano ad un'espansione apparente del cls.
Questa tendenza ad "espandersi" del cls si manifesta solo per deformazioni longitudinali di compressione prossime o superiori al valore ultimo non confinato (epsiloncu) e questo implica che:
1. Per stati deformativi sezionali (curvature) tali che al lembo compresso la deformazione sia <= epsiloncu il calcestruzzo si comporta in modo sostanzialmente indifferente (stesso legame costitutivo) sia dentro il nucleo confinato, sia nello strato corticale.
2. Quando la deformazione al lembo compresso supera epsiloncu allora tutto il cls corticale è da assumersi inefficace e si considera reagente a compressione il solo cls delimitato entro il nucleo confinato (delimitato dal baricentro della staffatura perimetrale) che è compreso tra l'asse neutro e gli archi di parabola aventi per vertici le barre longitudinali confinanti. Sebbene la sezione abbia perso una buona porzione di cls compresso, il legame costitutivo del cls confinato migliora resistenza e deformazione del calcestruzzo compresso e consente il raggiungimento di curvature decisamente maggiori di quelle convenzionali fino a quando non si arrivano alle uleriori condizioni ultime che possono essere:
  • per raggiungimento della deformazione ultima a comprssione del cls confinato (epsiloncu,c);
  • per raggiungimento della deformazione ultima a trazione dell'acciaio (epsilonsu).
Nell'istante in cui la sezione perde il cls di ricoprimento c'è una discontinuità con un salto in basso nel diagramma momento-curvatura, ma la sezione trova facilmente una nuova condizione di equilibrio grazie al cls "dopato" che si trova nel nucleo confinato.

In conclusione, fino al raggiungimento della curvatura ultima in corrispondenza della deformazione massima a compressione del cls non confinato (tipicamente 0.35%), non c'è differenza tra calcestruzzo interno o esterno alla staffatura perimetrale. Per curvature maggiori, in cui il lembo maggiormente compresso supera questa soglia, allora se la sezione riuscirà a trovare una nuova configurazione deformata di equilibrio, l'unico cls reagente sarà quello dentro il nucleo confinato e la risultante degli sforzi di compressione si sposterà, abbassandosi, dentro di esso, e riducendo al contempo il braccio della coppia interna. E' questo il fenomeno fisico che spiega quella discontinuità nel diagramma momento-curvatura, sia analitico che sperimentale, in cui si nota una perdita di momento resistente per curvature immediatamente maggiori di quella ultima in corrispondenza della deformazione massima a compressione del cls non confinato.

Voglio evitare di fare post troppo lunghi, quindi prima di approfondire le altre due domande di Betoniera:
La prima domanda è: ma riteniamo che il problema riguarda solo i pilastri o può interessare anche le travi inflesse?
Altra domanda: Ma succede veramente che il copriferro si stacca dalle travi prima del collasso?.
aspetto eventuali repliche/considerazioni su quello che ho sopra riportato.
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Offline Fla-flo

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #19 on: 19 May , 2014, 17:11:34 PM »
Ciao. Propongo - come suggerito da g.iaria - di fare post contenuti, di volta in volta.

In merito, al nocciolo di g.iaria:
In conclusione, fino al raggiungimento della curvatura ultima in corrispondenza della deformazione massima a compressione del cls non confinato (tipicamente 0.35%), non c'è differenza tra calcestruzzo interno o esterno alla staffatura perimetrale. Per curvature maggiori, in cui il lembo maggiormente compresso supera questa soglia, allora se la sezione riuscirà a trovare una nuova configurazione deformata di equilibrio, l'unico cls reagente sarà quello dentro il nucleo confinato e la risultante degli sforzi di compressione si sposterà, abbassandosi, dentro di esso, e riducendo al contempo il braccio della coppia interna. E' questo il fenomeno fisico che spiega quella discontinuità nel diagramma momento-curvatura, sia analitico che sperimentale, in cui si nota una perdita di momento resistente per curvature immediatamente maggiori di quella ultima in corrispondenza della deformazione massima a compressione del cls non confinato.

sono d'accordo in pieno. Infatti, i diagrammi tensioni-deformazione al 3,5/1000 sono riferibili in assenza di cerchiatura. Inoltre - correggetemi se sbaglio o ho capito male - il famoso limite elastico del 67,5/1000 si può a buon senso "giustificare" solo con accorciamenti del cls maggiori del 3,5/1000 (quindi ad incipiente scoppio e dopo, del copriferro). Quindi, se per voi è plausibile, questo dubbio me lo sono tolto. E vi ringrazio, in tal caso.

Ci si chiede: in quella situazione non si può verificare il distacco del copri ferro?

Ecco, forse la mia domanda (ora) potrebbe essere questa di Betoniera, generalizzandola (a mio parere). Il calcestruzzo salta quando le curvature sono maggiori di quella ultima.
A prescindere, so che la snellezza di una sezione rettangolare a quota "L" (esempio pratico, semplice) di una colonna a mensola è pari a Lambda = 2 x L x Rad(12)/H. Dove H è l'altezza totale della sezione: H = h + h' + h''. Avendo indicato con h' = h'' l'entità del copriferro. Se diminuisce H: da H a h (espulsione del copriferro) la snellezza quindi diminuisce. A quel punto, se utilizzo i "famosi" diagrammi ridotti (di resistenza [Rif. **]) per sezioni armate (che tengono conto degli effetti del secondo ordine in funzione di vari valori delle curvature), avrei il dominio di interazione (ridotto) la cui frontiera diminuisce. Potrrei trovarmi con il punto delle sollecitazioni fuori dal dominio.

Rif. ** CEB - Manual on "Buckling and Instability", Bulletin d'Information n. 123, 1978..
[Ricordo che questi diagrammi hanno il pregio di richiedere solo il momento del I ordine - tenendo già conto degli effetti del secondo ordine perché sono tabellati - e sono scritti in funzione della snellezza meccanica "Lambda" della sezione di cui si vuole eseguire la verifica].

Ritornando all'ultimo post di Betoniera, a questo punto, a mio parere il post sarebbe risolto se riuscissi a capire quando ciò può accadere. In particolare, se può innescarsi anche quando gli acciai in trazione sono ancora in campo elastico. Come hanno dimostrato - che così l'instabilità si può verificare - alcuni documenti tecnici che avevo precedentemente richiamato all'attenzione.

Nota: chiedo solo un breve "Time-out" per sbrigare alcune cose, visto proprio in questo momento anche il post di Betonera.
Rimango a disposizione. Un saluto.
« Last Edit: 19 May , 2014, 17:50:00 PM by Fla-flo »
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Offline Betoniera

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #20 on: 19 May , 2014, 17:32:07 PM »
... E' questo il fenomeno fisico che spiega quella discontinuità nel diagramma momento-curvatura, sia analitico che sperimentale, in cui si nota una perdita di momento resistente per curvature immediatamente maggiori di quella ultima in corrispondenza della deformazione massima a compressione del cls non confinato
...
aspetto eventuali repliche/considerazioni su quello che ho sopra riportato


Ciao g.iaria,
Credo che tu abbia ragione, ma ho bisogno di pensarci su un pò. (Oltretutto ho delle urgenze di lavoro).
In ogni modo il tuo ragionamento sembra essere forte.
Il punto di discontinuità a cui ti riferisci è quello del cambio di pendenza del diagramma Momento Curvatura?
Ciao, ci risentiamo

Offline g.iaria

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #21 on: 19 May , 2014, 18:56:51 PM »
Il punto di discontinuità a cui ti riferisci è quello del cambio di pendenza del diagramma Momento Curvatura?
Un'immagine chiarisce più di mille parole:

Pilastro 30x60 cm in cls C25/30 armato nella direzione forte con 3+3 Ø18 e 2+2 Ø18 di parete.
Staffatura: perimetrale Ø8/15 cm + 1 tirantino intermedio verticale Ø8/15 cm + 2 bracci intermedi orizzontali Ø8/15 cm.
Copriferro: 4 cm.
Sforzo normale: 800 kN
Valori medi delle resistenze.
Legame cls: parabola-rettangolo
Modello di confinamento cls: EC2
Legame acciaio: bilatero incrudente

A prescindere, so che la snellezza di una sezione rettangolare a quota "L" (esempio pratico, semplice) di una colonna a mensola è pari a Lambda = 2 x L x Rad(12)/H. Dove H è l'altezza totale della sezione: H = h + h' + h''. Avendo indicato con h' = h'' l'entità del copriferro. Se diminuisce H: da H a h (espulsione del copriferro) la snellezza quindi diminuisce. A quel punto, se utilizzo i "famosi" diagrammi ridotti (di resistenza [Rif. **]) per sezioni armate (che tengono conto degli effetti del secondo ordine in funzione di vari valori delle curvature), avrei il dominio di interazione (ridotto) la cui frontiera diminuisce. Potrrei trovarmi con il punto delle sollecitazioni fuori dal dominio.

Rif. ** CEB - Manual on "Buckling and Instability", Bulletin d'Information n. 123, 1978..
[Ricordo che questi diagrammi hanno il pregio di richiedere solo il momento del I ordine - tenendo già conto degli effetti del secondo ordine perché sono tabellati - e sono scritti in funzione della snellezza meccanica "Lambda" della sezione di cui si vuole eseguire la verifica].
Sono d'accordo: se all'elemento in c.a. compresso (pila da ponte) si richiede una prestazione duttile che può raggiungere solo attingendo alle riserve indotte dal confinamento del cls dopo il superamento del punto di espulsione del copriferro (parte del diagramma a tratto viola in figura) allora in quelle formule la snellezza va valutata sulla base di un'altezza utile ridotta h, pari alle dimensioni del nucleo confinato. Viceversa, se l'elemento può far fronte alla domanda di duttilità con il solo tratto del diagramma a tratto blu, si continua a considerare l'altezza piena H.
« Last Edit: 19 May , 2014, 19:06:46 PM by g.iaria »
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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #22 on: 19 May , 2014, 21:03:57 PM »
... Sul punto di discontinuità indicato da g.iaria ...

E' interessante quasta discontinuità.
Non l'avevo notata e, sinceramente, non so come hai fatto a calcolarla.
Ovviamente nel mio programma non è contenuta.
Sono adato a vedere anche il programma di Gelfi e, anche lì non è contenuta.
Probabilmante il fatto è dovuto, correggimi se sbaglio, al fermarsi o meno alla deformazione 3,5 permille.
E' passato un pò di tempo da quando ho fatto quel programma, ma, ovviamente per definizione io considero il cls rotto quando raggiungo il 3,5 permille.
Tu, probabilmente, hai inserito una curva "reale" del materiale che consente deformazioni maggiori.
Non c'entra nulla, però c'è un metodo previsto all'Eurocodice 2 per la verifica della resistenza al fuoco delle sezioni in c.a. chiamato "dell'Isoterma 500" dove si riduce sezione da verificare togliendo la cotica di cls con temperatura maggiore di 500 gradi.
Nulla di simile è indicato relativamente alle verifiche del cls. Pertanto è indubbio che il copriferro, anche non confinato, possa essere considerato nella sezione di verifica.
Quindi è ragionevole ciò che hai detto tu. Siccome noi ci fermiamo con la deformazione del cls al 3,5 permille, non ci sono problemi a considerare il copriferro.
Tu invece, mi sembra, che sei andato oltre, verificando cosa succede per deformazioni maggiori.
Ma, in questo caso, siamo fuori norma o no?
Che ne dici g.iaria?



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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #23 on: 20 May , 2014, 14:34:07 PM »
Ciao,

approfitto per ringraziare quanto gentilmente postato da g.iaria e Betoniera sull'argomento e soprattutto per la loro disponibilità. Qualche dubbio è svanito, qualcuno è rimasto...molto altro invece mi ha ancora più convinto grazie alle vostre puntualizzazioni. Non ultimo...mi sono anche divertito.

Un saluto e alla prossima. Sempre disponibile.

 :) Fla-flo  :)
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Offline Betoniera

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #24 on: 20 May , 2014, 15:09:13 PM »
... Qualche dubbio è svanito, qualcuno è rimasto...

E' stato un piacere per noi ...
Quanto ai dubbi ritengo che è meglio avere dubbi che certezze (mi fanno paura gli ingegneri che hanno solo certezze).
ciao, alla prossima

Offline g.iaria

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #25 on: 20 May , 2014, 20:21:59 PM »
Non l'avevo notata e, sinceramente, non so come hai fatto a calcolarla.
Ovviamente nel mio programma non è contenuta.
Sono adato a vedere anche il programma di Gelfi e, anche lì non è contenuta.
Probabilmante il fatto è dovuto, correggimi se sbaglio, al fermarsi o meno alla deformazione 3,5 permille.
E' passato un pò di tempo da quando ho fatto quel programma, ma, ovviamente per definizione io considero il cls rotto quando raggiungo il 3,5 permille.
Tu, probabilmente, hai inserito una curva "reale" del materiale che consente deformazioni maggiori.
Più che una curva reale io ho adottato un modello costitutivo del cls confinato che consente il raggiungimento di deformazioni ultime maggiori della deformazione di rottura del cls non confinato (tipicamente 0.35% di deformazione del lembo compresso di cls) e di conseguenza si possono analizzare tutte le riserve sezionali duttili a disposizione e proseguire nel tracciamento del diagramma momento-curvatura.
Il cls del nucleo confinato (vedasi diagramma sigma-espsilon a tratto fucsia dell'immagine che ho prima postato) ha:
  • maggiore resistenza di picco fc
  • maggiore deformazione in corrispondenza del picco epsilonc2
  • maggiore deformazione ultima epsiloncu

Di modelli di confinamento ne esistono tanti in letteratura: EC2, EC8, Mander, Watanabe, etc.
Il più conservativo è quello dell'EC2, quello dell'EC8 parte 3 è invece uno dei più spinti, quello di Mander è forse il più realistico per i pilastri con compressione quasi centrata, mentre quello di Watanabe è il più adatto nei casi di sezioni fortemente parzializzate (travi o pilastri poco compressi).
I parametri meccanici del legame tensioni deformazioni crescono al crescere della pressione di confinamento sigma2.
Tu invece, mi sembra, che sei andato oltre, verificando cosa succede per deformazioni maggiori.
Ma, in questo caso, siamo fuori norma o no?
Prima vediamo di capire quando è auspicabile, se non necessario, analizzare le riserve duttili dopo l'espulsione del copriferro.
Sicuramente non quando dobbiamo fare delle verifiche di resistenza allo SLU, per le quali possiamo tranquillamente fermare il tracciamento del diagramma nel punto di "rottura convenzionale".
Diverso è il caso delle verifiche di duttilità locale, o nell'implementazione delle leggi costitutive non lineari nelle cerniere plastiche dei modelli FEM (ad es. push-over), nelle quali lo scopo non è valutare una resistenza, bensì uno spostamento (e questo è anche il motivo per cui in questi casi è opportuno eseguire il calcolo basandosi sui valori medi delle resistenze, anzichè sui valori di calcolo).
Tutto questo non è assolutamente fuori norma, ed anzi, sono le norme stesse che indicano questa strada:

Circolare NTC'08 § C7.4.4. DIMENSIONAMENTO E VERIFICA DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI
Nella valutazione della duttilità di curvatura per le verifiche di duttilità nelle zone critiche, il
contributo in termini di resistenza e di duttilità dovuto al confinamento del calcestruzzo va
considerato utilizzando modelli adeguati. A tal fine, la sola parte di calcestruzzo contenuta
all’interno delle armature che garantiscono il confinamento può essere considerata efficacemente
confinata.
In presenza di sforzo normale, per conseguire il limite di 1,5 indicato nelle NTC è necessario tener
conto del confinamento prodotto dal calcestruzzo dalla presenza delle staffe. Si evidenzia che tale
problema nelle usuali strutture intelaiate riguarda soltanto le sezioni al piede dei pilastri.


NOTA: il limite di 1.5 di cui si parla è quello di cui all'ultimo capoverso § 7.4.4 di NTC'08. E' un valore molto oneroso, non previsto sull'EC8, che rende ancor più importante la necessità di attingere a tutte le risorse duttili disponibili.

Eurocodice 8 - UNI EN 1998-1 (2005) § 5.4.3.2.2 Detailing of primary seismic columns for local ductility
(7)P If for the specified value of µØ a concrete strain larger than epsiloncu2=0,0035 is needed
anywhere in the cross-section, compensation for the loss of resistance due to spalling of
the concrete shall be achieved by means of adequate confinement of the concrete core,
on the basis of the properties of confined concrete in EN 1992-1-1:2004, 3.1.9.


Concludo tornando all'argomento dell'instabilità delle pile da ponte.
In questo caso secondo me non ha senso procedere a tracciare il diagramma oltre il limite di rottura convenzionale dato che un dimensionamento della pila eseguito in maniera corretta dovrebbe già comportare uno sforzo normale adimensionalizzato nella sezione al piede non eccessivo (nell'ordine di 0.25÷0.35) e quindi tale da non inficiare in modo apprezzabile la duttilità di curvatura in quella sezione pur limitandosi alla deformazione del 0.35% del cls.
D'altronde limitare lo sforzo assiale con questa finalità è lo stesso approccio che viene indicato per le colonne degli edifici sull'EC8-1 nel § 5.2.3.7 (3P):
c) An appropriate limit of the normalised design axial force shall be respected (see
5.4.3.2.1(3)P, 5.4.3.4.1(2), 5.5.3.2.1(3)P and 5.5.3.4.1(2)) to reduce the consequences of
cover spalling and to avoid the large uncertainties in the available ductility at high levels
of applied axial force.

Analoghe limitazioni, più specifiche per le pile da ponte, che legano direttamente la domanda di duttilità con lo sforzo assiale massimo si trovano sulla UNI EN 1998-2:2006.
« Last Edit: 20 May , 2014, 20:38:42 PM by g.iaria »
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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #26 on: 20 May , 2014, 20:42:36 PM »
Caro g.iaria ti devo fare i complimenti.
Inutile dirti che fin lì, io non c'ero arrivato.
Spero di avere l'opportunità di qualche altro confronto in futuro (e magari anche con Sigmund).
Ciao, alla prossima

Offline Fla-flo

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #27 on: 21 May , 2014, 14:20:48 PM »
Grazie Betoniera, se ci sarà occasione ben volentieri.

Lascio un link a un documento che credo sia istruttivo. Già da tempo l'avevo trovato molto interessante. Lo posto qui qualora qualcuno volesse dargli un'occhiata. Un saluto a tutti e alla prossima.

http://www.ding.unisannio.it/ricerca/gruppi/ingciv/ceroni/Dispense/14.Confinamento.pdf

http://www.anidis.it/fileadmin/ConvegniANIDIS/1999/Attolico_S.Biondi_C.Nuti_%20M.Petrangeli.pdf

Ci sarebbe troppo da dire e discutere...tempo poco (purtroppo!).
 :) Fla-flo  :)
« Last Edit: 21 May , 2014, 14:35:47 PM by Fla-flo »
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Offline g.iaria

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #28 on: 21 May , 2014, 14:37:59 PM »
@Betoniera&Sigmund:
Confrontarsi é stato un piacere anche per me.
Alla prossima.
Saluti.
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Freeman Dyson

Offline g.iaria

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #29 on: 31 May , 2014, 12:11:26 PM »
Riprendo questo topic perchè ci sono un paio di concetti sollevati da Sigmund che riguardano le pile da ponte che poi non sono stati approfonditi.
Li riporto qui:
  • La sezione critica nella quale avviene il collasso non è detto che sia sempre quella di base di attacco della pila, contrariamente a quello che avviene negli edifici dove il collasso nei pilastri avviene sempre nelle sezioni di estremità.
  • L'analisi di pile (anche molto alte) a sezione variabile lungo l'altezza con metodologie di calcolo non necessariamente complicate.

Il primo punto è quello più controverso, per il quale secondo me è difficile dare una risposta secca.
Le potenziali cause sono le più svariate, e sono tipiche della progettazione ed esecuzione delle pile da ponte con sezione mono o pluri-cellulare.
Provo ad elencarle brevemente, ma per ognuna si potrebbe discutere approfonditamente.
Cause progettuali:
  • fenomeni di instabilità locale delle pareti
  • eccessiva rastremazione del profilo o strizione della sezione
  • disposizione delle armature lungo l'altezza secondo una previsione troppo teorica (perfettamente triangolare) dell'andamento del momento
  • sovrapposizioni dei ferri verticali sulle riprese di getto tutte alla stessa quota anzichè sfalsate
  • staffatura di confinamento insufficiente o mal progettata, a tal proposito è bene ricordare che questo aspetto ha trovato giusta attenzione solo a partire dall'OPCM 2003 ed NTC'08, perchè il precedente DM'96 non andava oltre le misere 6 spille/m2 a collegare le armature delle due facce delle pareti della pila
  • uncini di chiusura di staffe e legature insufficienti con piegature limitate ai canonici 90°, invece degli odierni 135°, con conseguente apertura in caso di sollecitazioni sismiche violente
Cause esecutive:
  • errate sovrapposizioni delle armature verticali: troppo distanti --> no trasmissione sforzi, oppure accostate piegando verso l'interno i ferri di attesa --> spinta a vuoto ed espulsione del cls
  • riprese di getto troppo distanziate temporalmente che creano già dei piani di taglio preferenziali
  • strappi indotti dal trascinamento delle casseforme rampanti per sviluppo di un'eccessiva aderenza cassero-cls
Se a qualcuno ne viene in mente un'altra la dica pure, ma già con queste si vede che le potenziali cause sono tante ed andrebbero indagate caso per caso.

Il secondo punto prende corpo da questa frase di Sigmund:
Unica osservazione: stiamo ragionando su una sezione costante lungo tutto il fusto e con percentuali meccaniche di armature costanti. Pertanto, diciamo, che stiamo ragionando in termini di “colonna modello” e mi trovate pienamente d’accordo con quanto avete finora osservato. E vi ringrazio. Se si tratta di una pila alta 50-60 m (e perché no, anche di più!), sarei curioso di fare due calcoli (ma qui entreremo nel delirio più totale! Ma non voglio provocare oltre!). Avremmo una curvatura variabile lungo il fusto e pure i diagrammi momento-curvatura varieranno in funzione dell’aumento dell’azione assiale sulla sezione. Quindi non è da escludere a priori che, se consideriamo varie sezioni trasversali della pila (a sezione variabile), possano sussistere situazioni di punti coincidenti fra i momenti flettenti e le curvature anche per valori di forze assiali diverse. Questo, come noto, non può accadere per un elemento che possa essere schematizzato secondo lo schema della “colonna modello” (escludendo ovviamente il punto nell’origine degli assi del diagramma momento-curvatura).
Esistono in realtà metodologie di calcolo, semplici ma abbastanza consolidate, che possono adattarsi anche al caso della geometria della pila indicato da Sigmund. Uno di questi è quello di idealizzare la geometria reale, pur complessa che sia, con un modello equivalente a mensola di massa (tutta in testa) e rigidezza opportuni. Indicazioni al riguardo si trovano sul testo "Progettazione e costruzione di ponti" del grande prof. M.P. Petrangeli ed. Masson, a pag. 279 dell'edizione del '96 che ho io. Se Sigmund è disponibile possiamo applicare il metodo alla pila a cui ha fatto riferimento. Il metodo è abbastanza diretto e non sarebbe affatto un delirio.

Infine sono incuriosito anche da questo:
Permettetemi allora un piccolo sfogo. Mi risulta, da foto di terremoti di pile di ponti o viadotti collassati che ci rimane ben poco della sezione, altro che copriferro scoppiato! Invito a dare un'occhiata, ad esempio, alle foto impressionanti nel testo: "Seismic Design and Retrofit of Bridges", Priestley, Calvi, Editore John Wiley & Sons, Inc.
Sigmund, non possiedo il libro in questione, non è che saresti disposto a postare qualche immagine tratta dal testo?
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