Author Topic: EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)  (Read 17701 times)

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Offline Fla-flo

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Re:EN 1992-1-1:2005 – Diagramma acciaio (instabilità pile ponte)
« Reply #30 on: 31 May , 2014, 17:30:47 PM »
Ciao,

Sigmund, non possiedo il libro in questione, non è che saresti disposto a postare qualche immagine tratta dal testo?

Posto qui due foto (fatte alle pagg. 20-21 del testo "Seismic Design and Retrofit of Bridges" Priestley, Calvi) di due pile di viadotto collassato dopo terremoto. Si nota in modo evidente (anche se la qualità delle immagini non è delle migliori) la completa assenza di copriferro e l'instabilità delle armature longitudinali. Eccole:







In merito a quanto postato da g.iaria non posso che concordare pienamente. Relativamente a quanto riportato da pag. 278 a pag. 284 del testo di Mario Paolo Petrangeli (ho la IV edizione cartacea del 1998), anche se il calcolo del tagliante sismico fa riferimento alla vecchia norma, sono ovviamente d'accordissimo per fissare le aramture lungo le sezioni più importanti del fusto.

A tal proposito, dello stesso periodo (1997) risale uno studio di vari autori tra cui il Petrangeli stesso sul contribuito dell’instabilità delle armature longitudinali nella risposta delle pile del viadotto Hanshin di Kobe (avevo postato due link in qualche post precedente). In particolare, hanno evidenziato un collasso di tipo 3D (rottura per taglio della biella convenzionale di cls con espulsione del copriferro in presenza di pressoflessione) anziché 2D (ovvero, sola analisi della sezione, con rottura imnputabile al collasso per presso-flessione della sezione maggiormente sollecitata). Ciò, quindi, indipendentemente dall'altezza della pila.

Ritornando al ruolo dello scoppio del copriferro (come concausa o meno del collasso: sia per raggiungimento delle tensioni o sia per superamento della snellezza meccanica in una generica sezione), viene indagata
la rottura di tipo fragile con espulsione del calcestruzzo diagonale compresso per taglio. Secondo quanto affermano gli Autori, un’analisi convenzionale condurrebbe a ritenere la resistenza a taglio superiore a quella flessionale, ma tale incongruenza è stata giustificata mediante l'utilizzo di analisi con elementi a fibre (senza taglio: analisi 2D), mentre modelli di rottura anche per taglio (analisi 3D) hanno permesso di rilevare la crisi per effetto P-Delta, accentuato dalla disgregazione del calcestruzzo diagonale. Ovviamente in entrambi i modelli (3D e 2D) sono state proprio utilizzate le forumulazini del Petrangeli, salvo l'utilizzo di spettri di progetto diversi (non riconducibili alla vecchia norma italiana, evidentemente).

Da qui, mi riallaccio a quanto detto in merito all'uso (a mio parere sempre più necessario quanto più la pila è snella e di sezione variabile con l'altezza) dei diagrammi di interazione ridotti (input con soli momenti del I ordine) in funzione della snellezza meccanica della sezione e del suo rapporto meccanico di armatura (ne esistono tabellati in alcune vecchie pubblicazioni). Ritengo che nelle pile molto alte (circa dai 35-40 metri in su), il metodo della colonna modello come anche quello del momento complementare diventano sempre meno attendibili a causa: 1) dell'azione assiale marcatamente variabile lungo la pila, 2) dei cedimenti rotazionali delle fondazioni, 3) delle azioni termiche, 4) degli effetti differiti nel tempo, 5) dalle eccentricità biassiali, 6) dalla distribuzione dei carichi di pressione del vento sul fusto (senza contare effetti per distacco dei vortici, scie, ecc.). Inoltre, per sezioni trasversali marcatamente variabili (pile molto alte) anche la valutazione del carico critico euleriano risulta essere un problema complicato e oneroso. Senza poi considerare (per semplicità lo avevo proprio trascurato: ma non è affatto da trascurare) l'influenza esercitata dall'impalcato tramite gli apparecchi di appoggio sul comportamento delle pile (in particolare, a sezione variabile!), dal tipo di impalcato stesso (impalcato su due appoggi o impalcato continuo) e, non ultimo, dall'infulenza esercitate dalle altre pile che avranno generalmente altezze differenti.
Ad esempio, in direzione longitudinale dell'impalcato ci può essere un evoluzione del sistema statico: a mensola sì, ma fino a quando il cinematismo consentito dai vincoli e dai giunti non si esaurisce. Dopo, infatti, l'impalcato può impedire lo sbandamento della sommità delle pile, ammesso che i dispositivi di fine corsa degli appoggi siano in grado di opporre una forza vincolare in tal senso. In altre parole, la posizione di eventuali punti di flesso evolve coerentemente con lo stato di carico e sollecitazione (mi sto riferendo, in particolare, a pile di sezione variabile e quindi di altezza elevata). Inoltre, nel caso di implacati in zona sismica, i dispositivi antisismici modificano il collegamento pila-impalcato e quindi ci può essere una variazione delle condizioni di vincolo. Quindi, ad esempio, anche viadotti a travata appoggiata potrebbero presentare un vincolo elastico longitudinalmente.

In questo quadro così complesso, vedo il metodo della colonna modello (sarebbe più giusto dire il suo derivato "Metodo del momento complementare" con eventualmente il "metodo della curvatura nominale" dell'EC2) come modello semplificato di predimensionamento che in prima battuta mi permetterà di "abbozzare" le armature lungo tutto il fusto della pila. Sottintendendo, in particolare, tutte quelle situazioni di pile molto alte e necessariamente di sezione variabile.

Come avevo anticipato in qualche post iniziale, questa questione è troppo vasta, complessa e tutt'ora dibattuta e vorrei cercare di non farmi troppo "inghiottire". Mi viene in mente, ad esempio, alcuni metodi che utilizzano fasciature in FRP.

A me sarebbe bastato solo capire se lo scoppio del copriferro (per tutti i motivi che si vogliano: rottura per taglio, cause progettuali, esecutive, ecc.) possa essere almeno una concausa.  :help:

Un saluto.
« Last Edit: 03 June , 2014, 16:48:16 PM by Fla-flo »
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